Anno di nascita: 1866
Anno di morte: 1938
Biografia:
Paolo Troubetzkoy è stato uno scultore e pittore italiano, di origine russa, membro della famiglia Trubeckoj.
Il principe Paolo (anche Pawel, Paul) Troubetskoy II nacque in Italia, a Verbania-Intra da padre russo (il diplomatico principe Pierre Troubetzkoy) e madre statunitense, la pianista Ada Winans.
Studiò scultura con Ernesto Bazzaro e Giuseppe Grandi e pittura con Daniele Ranzoni, ma fu in buona parte autodidatta.
Poliglotta, partecipe dell'aristocrazia internazionale della Belle époque che seppe splendidamente ritrarre nelle sue sculture, Troubetzkoy lavorò e risiedette in Russia (insegnò all'Accademia Imperiale di Belle Arti di Mosca per nove anni, dal 1897 al 1906), Francia (a Parigi, dove studiò a fondo l'opera di Rodin, e dove nel 1900 aveva vinto il Grand Prix), Inghilterra, Stati Uniti (prima a New York nel 1911 e poi, dal 1914, a Hollywood), oltre che in Italia (a Verbania-Pallanza esiste ancora la Villa Troubetzkoy, dove tornò ad abitare nel 1932).
Morì a Verbania-Pallanza nel 1938.
Nobile di nascita e ricco, Troubetzkoy, pur dimostrandosi un abile impresario della propria arte, non si trovò mai nella necessità di lavorare come scultore per vivere, né amò mescolarsi ai movimenti artistici contemporanei. Ciò finì per nuocere alla sua fama tra i critici e i colleghi italiani, che ebbero buon gioco nel dargli l'etichetta, tuttora non dissipata, di "ricco dilettante".
D'altro canto la sicurezza economica gli permise di sviluppare in assoluta indipendenza uno stile personalissimo, senza curarsi delle richieste dei galleristi, e tantomeno delle scuole artistiche del periodo, nelle quali è oggi arduo riuscire ad inquadrarlo. Il suo stile scultoreo è fatto di un nervoso "impressionismo" (che ha origine nella sua vicinanza giovanile a personaggi della Scapigliatura), a rapidi gesti di spatola su un gesso molto liquido, dal quale il ritratto "prende forma" nella parte del vertice contenente il volto, dove i gesti rallentano e i tratti emergono da una specie di foschia, dovuta alla scelta costante del "non finito" nella trattazione delle superfici.
Cultore di una scultura che privilegiava gli aspetti intimistici e quotidiani, a volte dai tratti un po' melanconici, Troubetzkoy ebbe difficoltà a veder riconoscere in Italia le sue capacità dalla committenza pubblica. Per questo le sue opere di maggiori dimensioni o si trovano all'estero, o sono rimaste allo stato preparatorio di gessi. Questi gessi oggi possono essere agevolmente ammirati perché da lui lasciati, alla sua morte, al Museo del Paesaggio di Verbania-Pallanza, che riserva un intero piano all'esposizione della Gipsoteca Troubetzkoy.
Per la sua nascita Troubetzkoy frequentò la migliore società del suo tempo, e fra i ritratti conservati nel Museo del Paesaggio (eseguiti in buona parte all'estero) appaiono committenti come il barone de Rotschild, il conte Robert de Montesquiou, George Bernard Shaw, Gabriele D'Annunzio, Lev Tolstoj, Arturo Toscanini, Enrico Caruso, personaggi dell'alta nobiltà russa e della politica del tempo.
Accanto ad essi troviamo ritratti di colleghi artisti (splendido il ritratto di Giovanni Segantini, del 1896, collocato dalla famiglia sulla sua tomba), di famigliari (sono numerosi i ritratti di bambini, o di padri e madri coi figli), e di animali, che amò molto (era vegetariano ) e che inserì con frequenza nei suoi ritratti.
Un esempio della poetica intimista di Troubetzkoy è il Monumento ai Caduti di Verbania-Pallanza, in bronzo (1922), che opera una scelta nettamente anti-retorica del tutto insolita per il tempo.
Anziché raffigurare un caduto in atteggiamento eroico o marziale, infatti, Troubetzkoy rappresenta una giovanissima e malinconica vedova, che sovrasta inginocchiata la lapide che elenca i nomi dei caduti, e con una mano lascia cadere alcuni petali di fiore sulla tomba che si immagina essere ai suoi piedi. In braccio, un bimbo troppo piccolo per rendersi conto della tragedia che l'ha colpito, si succhia il dito con innocenza.
Il gruppo bronzeo è collocato al livello degli occhi dei passanti e non sopra un alto piedistallo.
Vero monumento ai "rimasti" e alle loro difficoltà, più che ai caduti, piacque molto proprio per questo ai compaesani, ma non era certo adatto a compiacere i gusti della retorica imperante nel primo dopoguerra.
I motivi della scarsa fortuna italiana di Troubetzkoy si comprendono meglio osservando il gesso a grandezza naturale di Garibaldi a cavallo (oggi al Museo del Paesaggio), creato per un concorso e rifiutato perché l'Eroe dei Due mondi è rappresentato come un uomo esausto per le fatiche a cui si è sottoposto, interamente coperto da un poncho che nasconde qualsiasi accenno ad armi o divise militari.
Troubetzkoy ha creato l'opera senza preoccuparsi delle esigenze della committenza, alla ricerca del lato "umano" di Garibaldi, che viene in quest'opera liberato dalla retorica.
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