Leonor Fini

Leonor Fini

Stile: Realismo Magico;

Luogo di nascita: Buenos Aires

Anno di nascita: 1908

Anno di morte: 1996

Biografia:

Leonor Fini è stata una pittrice, scenografa, costumista, scrittrice, illustratrice e disegnatrice italiana.
Leonor Fini nacque da padre argentino di origini beneventane e madre triestina di origini tedesche. In seguito alla separazione, madre e figlia rientrarono a Trieste nel 1909 ospiti dello zio Ernesto Braun. La bambina, soprannominata Lolò, fu al centro di una strenua lotta tra i genitori, e il padre, pur di ricondurla a sé e di portarla in Argentina, tentò in tutti i modi di riprendersela, sino a giungere a un tentativo di rapimento . La madre, Malvina Braun, occultò la bambina adottando la tecnica del travestimento  : Leonor Fini in futuro adotterà spesso, anch'essa, questo stratagemma per scandalizzare gli abitanti dei paesini del Carso sloveno o per divertire amici e colleghi. Cresciuta nella stimolante atmosfera della Trieste del Ventennio, ove si contavano numerose le figure di letterati di livello internazionale (Svevo, Saba, Bazlen) e di artisti, la Fini fu sostanzialmente una pittrice autodidatta che frequentò assiduamente gli atelier dei pittori più noti di quegli anni. Strinse una solida amicizia con Arturo Nathan, con Carlo Sbisà, ma il pittore che più si avvicinò al ruolo di maestro fu Edmondo Passauro, ritrattista e pittore di figura che segnò la pittura finiana almeno sino al suo passaggio parigino.
Gli anni triestini sono dominati proprio da questo forte debito nei confronti dei protagonisti della pittura locale, da cui si affrancò dopo aver conosciuto il suo mentore milanese Achille Funi. Dopo essersi legata sentimentalmente al pittore di origini ferraresi, la giovane Leonor lascerà Trieste per trasferirsi a Milano, dove entrerà in contatto con il frizzante ambiente artistico meneghino e dove lascerà testimonianza di sé nel mosaico rappresentante La cavalcata delle Amazzoni nel Palazzo della Triennale realizzato a quattro mani con lo stesso Achille Funi. Alla soglia degli anni trenta Leonor Fini decise di varcare le Alpi per trasferirsi a Parigi, città che diverrà, seppur tra continui viaggi e tappe intermedie, la sua patria adottiva. Qui, entrata in contatto, a partire dal 1936, con i massimi esponenti della pittura e della letteratura surrealista (senza tuttavia unirsi ufficialmente al movimento), da André Breton a Salvador Dalí, da Paul Éluard a Max Ernst, conobbe anche il fotografo Henri Cartier-Bresson che la presentò al suo amore dei primi anni parigini, quell'André Pieyre de Mandiargues che sarà il protagonista maschile di tanti suoi ritratti legati alla prima metà degli anni trenta. Con Max Ernst, che la definì "la furia italiana a Parigi" intraprese un viaggio a New York, ove i due esposero presso la Galleria Levy e dove venne introdotta nell'ambiente del Moma allora diretto dal mitico Alfred Barr.
Archiviata la storia d'amore con de Mandiargues, che a breve sposerà la nipote del pittore Filippo de Pisis, la pittrice triestina si legò in matrimonio con Federico Veneziani per poi separarsi a breve nel 1941. In uno dei suoi viaggi nel Principato di Monaco, durante una prima teatrale conobbe il console Stanislao Lepri che, innamoratosi follemente dell'artista, decise di lasciare la sua professione per dedicarsi anch'egli alla pittura. Ben presto la neonata coppia si trasformò in un trio: il nuovo sodalizio, cui entrò a far parte un intellettuale polacco di nome Kostantin Yelensky, chiamato dalla Fini affettuosamente Kot, resterà un esempio tangibile di triangolo amoroso basato sulle forti personalità dei suoi vertici e su una originale ma sicura fedeltà: il loro rapporto si interruppe infatti solo nel 1980, dopo trentasette anni di convivenza, causa la morte di Lepri.
I tardi anni trenta e gli anni quaranta sono costellati da una cavalcata di dipinti di stampo surrealista (dal famosissimo Le bout du monde alla Pastorella delle sfingi, acquistato da Peggy Guggenheim e chiara testimonianza dell'amore della pittrice per la duplicità, l'ibrido, il doppio, spesso resi tramite sfingi o apparizioni) sino ad arrivare a citazioni colte di pittori del Quattro e del Cinquecento italiano (per esempio L'alcove del 1942, chiaro rimando alla Danae di Tiziano Vecellio, o La Grande Racine del 1948 ispirata alle composizioni del pittore milanese Arcimboldo).
In seguito allo scoppio del secondo conflitto mondiale, ritiratasi brevemente nel Nord della Francia ospite di Salvador Dalí, decise di lasciare Parigi per rientrare in Italia, e a Roma divenne la protagonista della ritrattistica ufficiale del bel mondo capitolino. Alternò a questo momento cittadino, lunghi soggiorni estivi passati presso la torre di Anzio, un'antica torre di avvistamento sul lungomare laziale che lei affittava di anno in anno oppure presso il monastero abbandonato di Nonza, in Corsica. Qui, tra ispirazioni quattrocentesche, su tutti il suo maestro ideale Piero della Francesca, riuniva i suoi amici più intimi per dei veri e propri sabba basati sul travestimento, sulla fotografia, sulla pittura e sul disegno. Tra i suoi ospiti Enrico Colombotto Rosso e Dorothea Tanning, moglie dell'amico Max Ernst.

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