Artista: John Cheere (1709-1787)
Formato: 107 x 227 cm
Museo: National Palace of Queluz (Queluz, Portugal)
Temi: Scultura
Un gruppo scultoreo di tre figure intrecciate, realizzate in piombo, che rappresenta il rapimento di Proserpina (Persefone). Una figura maschile corpulente, barbuta e coronata (Pluto/Hades), porta una figura femminile sulla schiena (Persefone/Proserpina). Sul terreno, un'altra figura femminile (forse Demeter/Ceres o la ninfa di Naiad Cyane) fa un tentativo disperato di impedire che la dea venga rapita. La statua ricorda chiaramente l'opera con lo stesso nome di Bernini e del Rape of the Sabine Women di Giambologna, ma il modello presentato sembra seguire il rapimento di Proserpina di François Girardon, anche se con alcune differenze. Originariamente progettato per essere esposto nel Parterre dell'Orangerie, finì per essere installato nel centro del Colonnato nel parco di Versailles. Mentre, nel caso del pezzo di Girardon, il cambiamento di posizione completamente alterato l'idea iniziale dell'artista di mantenere un punto di vista che sarebbe, soprattutto, frontale, a Queluz questa vista della scultura è offerta un privilegio speciale dalla sua situazione attuale, nella Broad Walk, vicino al Canal Tiled. La composizione di Cheere illustra il momento più drammatico del mito, narrato nel Libro V delle Metamorfosi di Ovid. Plutone, un dio del mondo sotterraneo (Tartarus), che era innamorato di Proserpina, la rapisce mentre sta raccogliendo fiori con le ninfe e la porta al suo regno sotterraneo, sposandola e rendendola sua regina. Ceres, La madre di Proserpina e una dea delle colture e delle stagioni dell’anno, implora Giove di restituire la loro figlia a entrambi, con essa finalmente stabilita che Proserpina avrebbe trascorso un anno con la madre e un altro anno con il marito. Nel primo di questi periodi, la natura rinasce di nuovo a causa della gioia e della felicità di Ceres, mentre nel secondo periodo si desola, trascura la natura e la terra coltivata diventa sterile, perché i semi non germinano più. Questo mito ha fornito la giustificazione originale per il ciclo annuale delle colture.
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