Edward Sheriff Curtis

Edward Sheriff Curtis

Luogo di nascita: Whitewater

Anno di nascita: 1868

Anno di morte: 1952

Biografia:

«Secondo l'uso degli indiani il mio nome sarebbe quello di "Uomo che non ebbe mai tempo per giocare"»
Edward Sheriff Curtis è stato un esploratore, etnologo e fotografo statunitense.Ha legato il suo nome allo studio dell'epopea del Far West e dei nativi americani, popolo del quale è stato un profondo conoscitore e studioso.
Mise la sua macchina fotografica al servizio di quello che si rivelerà lo scopo primario della sua esistenza: fotografare - tanto in senso etimologico quanto filosofico - i volti e le situazioni che segnavano la forzata decadenza dei nativi americani appartenenti alle ottanta tribù ancora esistenti fra la fine dell'Ottocento e gli albori del XX secolo.
Il suo scopo essenziale fu quello di documentare nella maniera più ampia, servendosi non solo della fotografia, gli usi e i costumi in via di estinzione del popolo degli indiani d'America.
Nacque da Johnson Asahel Curtis (1840 - 1887), predicatore e veterano della guerra di secessione americana, e da Ellen Sheriff (1844 - 1912), originari rispettivamente dell'Ohio e della Pennsylvania. Gli avi materni provenivano dall'Inghilterra mentre quelli del padre risiedevano in Canada. Ebbe un'infanzia tranquilla, trascorsa in buona parte ad accompagnare lungo i fiumi il padre che raggiungeva in canoa le località nelle quali si recava a tenere i suoi sermoni.
Edward Sheriff Curtis ebbe una lunga vita che dedicò per buona parte - i ventiquattro anni che vanno dal 1906 al 1930 - alla ricerca delle origini culturali dei nativi americani, mettendo in gioco se stesso in numerose spedizioni esplorative e documentaristiche tese a fermare - nei loro luoghi naturali - le immagini di un popolo il cui destino si avviava al crepuscolo, fissandole in una serie di fotografie - dagherrotipi d'epoca da consegnare alla memoria, nel viraggio in seppia - che restituiscono appieno il senso di una cultura connotata da una propria specifica identità.
Per compiere la sua impresa poté avvalersi del supporto di molte personalità: oltre al suo finanziatore principale John Pierpont Morgan (in grado di coprire però solo per un terzo i 35 milioni di dollari attuali che sarebbe stato il costo finale della sua opera The North American Indian), figurano tra i suoi sostenitori il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, Andrew Carnegie ed i reali di Inghilterra e Belgio.
Curtis, del resto, fu sempre alla disperata ricerca di denaro per poter proseguire il proprio lavoro. Prevista inizialmente in cinquecento copie, la collana di quello che è considerato il suo capolavoro fu in effetti tirata in meno di trecento (di cui solo 214 vendute, quando il pioniere-fotografo era ancora impegnato nel progetto). Ottenne numerosi riconoscimenti, ma il suo sogno - talmente grande da non riuscire ad afferrarlo per intero, secondo le sue stesse parole - ebbe come contrappeso un alto prezzo: un'instabilità emotiva, la rovina economica e familiare. A causa dei suoi viaggi e di una vita nomade dilapidò infatti ogni proprio avere e vide disgregarsi ogni possibilità di tenere unita la sua famiglia.
Sotto il cielo che si apre dalle zone artiche dell'Alaska a quelle aride del golfo del Messico, attraversando sterminate praterie solcate da profondi canyon e da inaccessibili catene montuose, ridiscendendo in canoa impervi corsi d'acqua, fu un pioniere impegnato nel romantico sogno di inseguire la storia di un popolo che presto non ci sarebbe stato più. Conobbe molti capi indiani, alcuni di questi fissò in immagine. Sue fotografie di nativi americani ripresi nelle attività quotidiane hanno mantenuto intatto nel tempo il fascino che le aveva ispirate.
Nel 1907, in occasione della pubblicazione della sua prima raccolta fotografica, Curtis scrisse una lunga introduzione nella quale esplicitava il proprio intendimento di perseguire una dettagliata raccolta - attraverso singole schede - di ogni tipo di testimonianza possibile di capi tribù (incluso diecimila registrazioni effettuate con un proto-registratore a cilindri di cera delle circa lingue diverse e delle musiche adottate da quel popolo, ma anche descrizione di cibi, decorazioni, attività di ricreazione e cerimonia, usi funebri, ecc.) che accompagnasse in maniera adeguata il suo progetto.
L'inventario ragionato che aveva in mente doveva fissare nel tempo un fenomeno che di lì a poco sarebbe di fatto scomparso e che riguardava l'intero popolo dei pellerossa stimato solo un secolo prima, in piena età dei lumi, in oltre un milione di persone, ma che sarebbe sceso di lì a poco a meno di quarantamila.La sua opera The North American Indian fu pubblicata in oltre un ventennio, completandosi nel 1930: constava di venti volumi e portfolio rilegati a mano in pelle, con copia lettere a torchio: in tutto 1.500 fotografie, frutto della selezione di circa cinquantamila scatti, e 4.000 pagine di testo.
Oltre 2.200 immagini in fotoincisione furono stampate su acqueforti secondo la tecnica della photogravure e con l'uso, a seconda della dimensione, di tre diversi tipi di carta: Van Gelder (costituita da fibre vegetali), Vellum (composta con l'uso di riso giapponese) e Tissue (di seta giapponese lavorata a mano). È stato calcolato che il pioniere-fotografo abbia stampato 272 set completi di quello che può essere considerato il suo unicum. Di tali copie, 220 sono quelle conservate presso istituzioni pubbliche e private, sia d'Europa che statunitensi .

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